Il Capitale globale e le Città del Sud
Karachi: Il capitale internazionale cerca casa, disperatamente.
Le città del sud e sud-est asiatico sono destinazioni attraenti per gli investitori internazionali, poiché hanno piani regolatori deboli e hanno subito un adeguamento strutturale.
Qui gli investimenti stanno delineando sempre più non soltanto la forma della città ma anche le relazioni sociali ed economiche.
Nuovi termini, quali “ città di classe mondiale”, “infrastrutture favorevoli agli investimenti”, “investimenti stranieri diretti”o “FDI”come vengono chiamati, città come “motori di crescita”, sono entrati a far parte della terminologia dello sviluppo. Tutti i politici e i pianificatori governativi delle città asiatiche stanno utilizzando questi termini ed è principalmente dovuto a loro il cambiamento nell’approccio alla pianificazione.
Le politiche locali sono ossessionate dal rendere ‘belle’ le città per visitatori e investitori. Ciò significa costruire cavalcavia e superstrade sopraelevate in alternativa alla gestione del traffico e alla pianificazione; grattacieli altissimi in alternativa al miglioramento degli insediamenti; centri commerciali in alternativa ai mercati tradizionali (che vengono rimossi); la rimozione della povertà dal centro della città alla periferia per migliorare l’immagine della città in modo da promuovere i FDI; offrire servizi per il turismo piuttosto che sostenere il commercio locale; la ricerca di sostegno del settore aziendale internazionale (sviluppatori, banche, fornitori di tecnologia e IFI, Istituzioni di Finanza Internazionale) per quanto detto sopra.
Questo piano è molto costoso. Perciò sono, sono stati negoziati con le IFI prestiti su una scala senza precedenti. Ad esempio, tra il 1976 e il 1993, Sindh ha contrattato un prestito di $799,64 milioni per lo sviluppo urbano quasi interamente destinato a Karachi.
Recentemente, il governo ha ottenuto un prestito di $800 milioni per il Karachi Mega City Project.
Di questa somma, $5,33 milioni sono stati spesi per assistenza tecnica fornita da consulenti stranieri.
Quasi tutti i progetti creati e finanziati attraverso prestiti precedenti non hanno soddisfatto gli obiettivi prefissi e ci sono prove che dimostrano che, anche in questo caso, non riusciranno a raggiungere gli obiettivi,poiché ricalcano i processi delle progettazioni e delle realizzazioni del passato.
La maggior parte dei nuovi progetti sono istituiti su un processo di riordino automatico (BOT). E’ evidente che i progetti hanno sostituito la pianificazione urbanistica. Questo è particolarmente vero per i progetti legati al trasporto.
Città quali Bangkok, Manila, il Cairo e, in precedenza, Calcutta hanno investito maggiormente nei sistemi tramviari e metro.
Altre città asiatiche stanno seguendo il loro esempio. Tuttavia, questi sistemi sono troppo costosi per essere sviluppati su una scala abbastanza grande per poter fare la differenza.
La rete tramviaria di Manila soddisfa soltanto l’8% del trasporto, mentre lo sky train di Bangkok e la metropolitana soltanto il 3%. La metropolitana di Calcutta anche meno. I biglietti del tram e della metropolitana costano 3 - 4 volte di più di quelli degli autobus. Come risultato, la maggior parte dei pendolari continuano a viaggiare su autobus mal ridotti.
Inoltre, non c’è mai stata tanta liquidità nelle banche e nelle società di leasing.
Tuttavia, a causa della libertà di cui godono oggigiorno queste società di credito, questa liquidità è utilizzata per concedere prestiti a breve termine a cui applicano interessi alti che non apportano alcun beneficio alla città o alla maggior parte dei residenti. Ad esempio, 502 veicoli al giorno sono stati aggiunti a Karachi durante lo scorso anno finanziario, di cui più delle metà sono auto. Si stima che circa il 50% di questi veicoli siano stati finanziati tramite prestiti dalle banche e dalle società di leasing. Questo significa che i prestiti per finanziare questo investimento, pari a un miliardo e 125.000 dollari, potevano essere usati facilmente per migliorare il sistema di trasporto pubblico o per le case popolari, di cui c'è estrema necessità.
La natura degli investimenti realizzati in molte città asiatiche e la mentalità che si cela dietro di essi stanno incrementando l'accaparramento dei terreni, lo sfratto degli abitanti, dei venditori ambulanti e del commercio informale, gli insediamenti irregolari lontani dalla città e dai servizi di utilità sociale; l’esclusione (dovuta alla conversione dei quartieri popolari in residenziali) delle comunità più povere dagli spazi pubblici per lo svago e il divertimento, e l’urbanizzazione ad hoc dei terreni ecologici e produttivi dal punto di vista agricolo.
Il monitoraggio degli sfratti da parte dell’Asian Coalition for Housing Rights, un’organizzazione non governativa con base a Bangkok, ha dimostrato che in sette paesi asiatici (Bangladesh, Cina, India, Indonesia, Giappone, Malesia, Filippine) gli sfratti stanno aumentando drasticamente.
Nel periodo tra gennaio e giugno 2004, 334.593 persone sono state sfrattate nelle aree urbane di questi Paesi. Tra gennaio e giugno 2005 sono state sfrattate 2.084.388 persone.
Anche a Karachi gli sfratti sono quadruplicati negli ultimi 4 anni e oggi un numero sempre più alto di famiglie dorme e vive sui marciapiedi in assenza di alternative. Il motivo principale di questi sfratti è l’”abbellimento” della città, la realizzazione di mega progetti e la “fame” di terreni da parte degli operatori immobiliari spalleggiati da politici e burocrati. Nella maggior parte dei casi, la gente non riceve alcun compenso per le perdite subite, e i nuovi insediamenti si trovano tra i 25 e i 60 chilometri dal centro cittadino. Gli attuali master plan e/o progetti strategici non danno priorità (a differenza di quanto accadeva negli anni ’80) alle questioni socio-economiche che derivano da questi trend.
Come risultato di queste politiche, il divario tra ricchi e poveri è aumentato.
I sussidi per i servizi sociali e l’aumento dell’inflazione e del costo dei servizi pubblici, soprattutto in Paesi che hanno subito un adeguamento strutturale, ha moltiplicato il divario. Lo studio economico 2006/2007 del Pakistan evidenzia che il gap tra ricchi e poveri sta aumentando. Documenta che la quota di consumo del 20% dei più ricchi arriva al 39,4% mentre è del 9,5% per il 20% della popolazione delle classi inferiori.
Lo studio dimostra inoltre che il gap aumenta nonostante il 7% di crescita del PIL. In questo nuovo paradigma di sviluppo la ripercussione più grave riguarda lo schiacciante potere dei capitali internazionali, dei consulenti e dei loro soci locali che hanno indebolito le istituzioni governative e i processi politici democratici.
I governi sono sordi nei confronti delle preoccupazioni espresse dagli accademici dissidenti e ambientalisti.
E tutto ciò avviene in un’era dove i media sono più liberi rispetto a un tempo e le ‘consultazioni’ sono all’ordine del giorno. Le ONG, gli attivisti e gli accademici delle comunità, nella maggior parte delle città asiatiche in cui ho lavorato si lamentano delle stesse cose. Essi sostengono che le consultazioni sono fumo negli occhi e le valutazioni di impatto ambientale sono dei meri timbri su fogli. Invece, i progetti di successo delle ONG, il risultato del populismo anni ’80, sono diventati, nella maggior parte dei casi, “rispettabili” e sono entrati in società con i governi. In più, il movimento delle ONG ha subito un cambiamento. Sta diventando sempre di più un’industria guidata da “professionisti dello sviluppo” e non più dall’altruismo populista. La maggior parte di questi “professionisti dello sviluppo” si sono formati frequentando corsi speciali nelle Università del Primo Mondo, i Paesi economicamente sviluppati, trasformando la ricerca del Terzo Mondo in teoria dello sviluppo!
Se l’attuale tendenza continua allora il divario tra ricchi e poveri, gli sfratti, gli insediamenti irregolari e l’esclusione sociale aumenteranno, non soltanto per i poveri ma anche per i ricchi che abiteranno in ghetti circondati da guardie armate e sistemi di sicurezza (e ciò sta già avvenendo).
Le questioni governative diventeranno sempre di più legate alla legge e all’ordine e non alla giustizia e uguaglianza. Ciò aumenterà la frammentazione, per cui l’unica cosa che terrà insieme la città sarà una classe media aggressiva che si sposterà verso l’alto e che, per natura, non è interessata alle questioni della giustizia e dell'uguaglianza. Inoltre, ci sarà lo sviluppo solo dove l’investitore è soddisfatto, per cuile altre regioni diventeranno zone depresse (cosa che già si sta verificando). La prosecuzione della tendenza attuale è una ricetta per l’innesco dei conflitti.
Il capitale straniero (e la liquidità locale) ha i propri vantaggi e deve essere incoraggiato.
Deve tuttavia aderire ad un progetto di sviluppo più ampio basato sui principi dello sviluppo, al fine di creare le condizioni per lo sviluppo di un ambiente urbano globale ed ecologico.
Questi principi potrebbero essere: 1) la pianificazione dovrebbe rispettare l’ecologia delle aree in cui si trovano i centri urbani; 2) lo sfruttamento del terreno dovrebbe essere determinato sulla base di considerazioni sociali ed ambientali e non sulla base del valore del terreno o soltanto sul suo potenziale; 3) la pianificazione dovrebbe dare priorità ai bisogni della maggioranza della popolazione che, nel caso specifico dell’Asia, si tratta di comunità con reddito basso e medio-basso, venditori ambulanti, addetti del commercio informale, gente che va a piedi e pendolari;e 4) la pianificazione deve rispettare e promuovere l’eredità culturale tangibile e intangibile delle comunità che vivono nella città. I piani regolatori dovrebbero essere progettati sulla base di questi principi al fine di rispettare i pedoni e le strade, a favore degli spazi aperti e all’utilizzo misto delle aree.
Se le città del sud-est asiatico devono essere prese ad esempio, allora si deve richiedere : 1) un’ingente tassazione commisurata alla parte non utilizzata del terreno, in modo da favorire l'entrata dell’insieme dei terreni nel mercato;2) una data limite per la regolarizzazione degli insediamenti irregolari e la fine degli sfratti (laddove si richieda un trasferimento, deve essere offerta una compensazione basata sul valore di mercato);3) l’occupazione abusiva pianificata per 5 anni per attuare i programmi di riduzione del divario tra domanda e offerta di alloggi a basso reddito;4) l'avvio di programmi per la costruzione di unità e lotti che risolvono con successo le questioni legate all’individuazione del target e alla speculazione (a parte alcuni esempi di edilizia popolare a piccola scala, il fallimento delle risposte a tali problemi è la ragione principale del fallimento dei tentativi di edilizia popolare in tutto il Terzo Mondo);5) lo sviluppo di norme, regolamenti e procedure per garantire che gli assetti naturali, di intrattenimento e ricreativi della città non siano utilizzati esclusivamente dall’elite o dalle classi medie;6) un regime di privatizzazione appoggiato da accordi istituzionali che garantiscano politiche occupazionali e di sviluppo sostenibile; e 7) un accordo di modo che tutti i programmi e progetti siano resi noti nella loro fase concettuale, soggetti a udienze pubbliche prima della loro esecuzione, supervisionati da un comitato direttivo composto dai vari gruppi di interesse, con resoconti pubblicati regolarmente e supervisionati da un ufficiale del governo dall’inizio alla fine.
Il problema principale è come fare affinché questa agenda sia attuata in un’epoca in cui l’evoluzione sociale e politica è in continuo cambiamento e l’economia è controllata a livello globale da organizzazioni internazionali non democratiche.
Ad esempio, l’ONU è controllato da 5 paesi membri che hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale; l’FMI e la Banca Mondiale operano sul principio “un dollaro un voto”; l’OMC è il risultato di negoziazioni avvenute fuori dal tavolo verde che hanno dato vita ai GATT. Pare che non esista molta democrazia nelle istituzioni globali in un'era di globalizzazione! In molti Paesi le organizzazioni della società civile si sono riunite per affrontare la sfida del nuovo paradigma dello sviluppo urbano. Tuttavia, la maggior parte di essi sono finanziate da agenzie bilaterali e da ONG internazionali, o dai governi che esse rappresentano, che sono gli stessi promotori di questo paradigma. Forse, proprio per questo motivo, hanno avuto un successo così limitato. Esistono anche movimenti internazionali che cercano di modificare le iniquità nelle relazioni globali del commercio e dell’aiuto.
Negli ultimi anni si sono però indebolite. L’unica alternativa sostenibile sembra essere quella di inserire questa importante questione nel processo politico più ampio all’interno dei paesi. Come questo possa essere realizzato in modo efficace resta un grande punto interrogativo.